Il mio “No” nel referendum sulla riforma costituzionale.
Il primo motivo per votare No me lo danno, paradossalmente, gli autori stessi della riforma, giacché il loro argomento principale è: “Si tratta dell’ultima occasione per cambiare” (magari corredato la rassegna stucchevole dei personaggi politici meno popolari che appoggiano il No).
Quasi un’implicita ammissione che,
nel merito, è difficile presentare valide ragioni per il Sì…
La retorica del “cambiamento” a tutti i costi ha sempre fatto danni.
I cambiamenti possono essere in meglio, ma anche in peggio (come, a mio avviso, in questa circostanza).
Ovviamente ritengo ci siano anche numerosi motivi di merito per rigettare la riforma.
I più importanti sono collegati a una serie di aspetti della riforma accomunati dall’intento di
indebolire la democrazia.
Qui debbo aprire una parentesi politica, perché il diritto – e ancor più il diritto costituzionale – non è un’astrazione tecnica, ma è l’espressione di una visione politica e culturale.
Negli ultimi vent’anni, a livello mondiale, si è imposto un modello di sviluppo che ha privilegiato principalmente gli interessi dei grandi poteri industriali (quelli che hanno potuto “delocalizzare”) e finanziari.
Il popolo, i ceti borghesi, si sono impoveriti in tutto l’Occidente.
Oggi cresce il malcontento, anche con il voto in molte consultazioni elettorali e referendarie. Consultazioni i cui esiti possono essere discussi, ma che esprimono indubbiamente l’esasperazione popolare, la stanchezza rispetto agli slogan vuoti e ipocriti dell’
establishment.
E allora si sente dire dai
mass media che per superare la crisi c’è bisogno di “decisioni sempre più rapide”, che bisogna superare gli “eccessi di democrazia” (o addirittura che bisogna “filtrare” le notizie che circolano sui
social media…
).
In realtà i poteri forti cercano di ridurre le possibilità del popolo di reagire. Criticano la democrazia e la politica (“sono meglio i tecnici”, dicono), quando invece dovrebbero criticare le
carenze di democrazia e la
cattiva politica.
La riforma costituzionale che è stata approvata in Italia, e su cui si deve esprimere il referendum, esprime proprio il tentativo dei poteri forti (non solo italiani) che hanno appoggiato il governo Renzi di avere più forza per imporre la propria politica, anche con il consenso di una piccola minoranza di cittadini.
Si tratta, insomma, di accorciare la catena di comando…
Venendo dunque ai motivi specifici per cui intendo votare No:
1) Una riforma della Costituzione, che è la Legge fondamentale di uno Stato, richiederebbe un vasto consenso. Mentre questa è stata approvata da forze che rappresentano un’esigua minoranza degli Italiani. La Costituzione italiana del 1948 fu approvata in un’Assemblea Costituente appositamente convocata, in cui sedevano i migliori giuristi dell’epoca; e che per due anni discusse solo di quell’argomento, senza ipoteche di Governo.
Questa riforma è stata approvata dal Parlamento, in cui la maggior parte dei membri sono persone di scarsa qualità, designate solo per la loro fedeltà ai leader; ed è stata discussa tra una legge e l’altra, sotto dettatura del Governo che ha imposto il suo progetto.
La Costituzione del 1948 fu approvata col voto favorevole di tutte le maggiori forze politiche: democratici-cristiani, socialisti, comunisti, liberali; 458 voti favorevoli e 62 contrari. L’Assemblea costituente, inoltre, era stata eletta con il voto di quasi il 90% degli Italiani. Quelli che votarono a favore della Costituzione, quindi, rappresentavano l’80% dei cittadini.
Questa riforma è stata approvata in Parlamento col voto della sola maggioranza (PD e partiti minori composti da parlamentari che hanno lasciato le opposizioni): 361 voti favorevoli (su 630) alla Camera e 180 (su 315) al Senato, circa il 57% dei membri del Parlamento. Ma non basta: questa maggioranza era stata eletta con un altissimo premio di maggioranza (ottenuto grazie a una legge elettorale che la Corte Costituzionale ha poi dichiarato illegittima e imposto di cambiare): il PD aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari con meno del 30% dei voti. E non basta ancora: alle elezioni del 2013 si era recato a votare solo il 75% degli Italiani. Quindi la maggioranza che ha approvato la riforma
rappresenta meno del 25% dei cittadini (il 30% del 75%)!!!
2) Con la riforma
il Senato non sarà più eletto dai cittadini, ma sarà composto da consiglieri regionali o sindaci designati (non si sa ancora come, dovrà stabilirlo una legge futura) dai loro colleghi.
Quindi uno dei due rami del Parlamento non sarà più espressione di un voto democratico, ma di trattative interne agli apparati di partito (o ai gruppi di potere che li controllano). I suoi membri non lavoreranno per il Senato a tempo pieno, perché dovranno continuare a svolgere contemporaneamente la loro attività di consiglieri o sindaci (quindi non potranno far bene nessuna delle due). E saranno personale politico di seconda scelta, perché i consiglieri e sindaci più importanti dovranno pensare agli incarichi locali, per cui non si faranno nominare senatori.
3) Con la riforma
la maggioranza di Governo avrà un potere eccessivo, perché diventerà più facilmente autonoma anche nell’elezione delle cariche di garanzia (Presidente della Repubblica, giudici della Corte Costituzionale, membri del Consiglio Superiore della Magistratura, Autorità indipendenti), che venivano finora elette in accordo con l’opposizione.
Per di più si tratta di una “maggioranza” espressione di una minoranza di cittadini, perché non più eletta con una legge elettorale proporzionale (come ai tempi dell’Assemblea Costituente), ma con una legge fortemente maggioritaria: anche quella recentemente approvata – il cosiddetto “Italicum” – è di questo tipo.
4) Con la riforma
aumenta la possibilità di far approvare leggi frettolose o espressione di interessi particolari.
Viene infatti abolito – tranne che per alcune materie – l’obbligo di approvazione delle leggi in entrambi i rami del Parlamento (la cosiddetta “navetta”).
Si dice che in questo modo la produzione di leggi sarà più veloce. Ma la riduzione dei tempi, come dirò oltre, è solo di facciata.
La verità è che l’approvazione da parte di una sola Camera aumenta il rischio di leggi votate in fretta, con scarso approfondimento, o addirittura con “colpi di mano” (magari in una seduta notturna d’estate, sotto la dettatura di
lobbies) per favorire interessi particolari. Col doppio voto questo rischio è molto inferiore, perché già con l’approvazione da parte della prima Camera la proposta di legge va sotto i riflettori dell'opinione pubblica.
Una soluzione migliore sarebbe stata quella di mantenere per tutte le materie la possibilità che una minoranza qualificata del secondo ramo del Parlamento – quando il primo ha già approvato una proposta di legge – entro un periodo prefissato possa richiedere la discussione.
I motivi che ho sin qui descritto sono i più gravi e pericolosi per la democrazia.
Esistono altri validi motivi per il “No”, derivanti anche dal fatto che la riforma è stata frettolosa e pasticciata.
Li elenco brevemente:
5) Sorgeranno
inevitabili conflitti istituzionali.
Ad esempio, non è stata ben definita la divisione di competenze tra Camera e Senato per l’approvazione delle leggi che prevedono la doppia lettura. La riforma prevede almeno otto tipi diversi di approvazione delle leggi ordinarie (mentre nella Costituzione attuale è solo uno!) e attribuisce ai Presidenti di Camera e Senato il compito di sciogliere i casi dubbi (con la possibilità che, qualora non si accordino, nasca un conflitto).
6) I risparmi di cui si parla sono insignificanti.
La riduzione del numero dei senatori porterà a risparmiare 50 milioni di euro. Che, rispetto alla spesa pubblica italiana, rappresentano lo 0,006%...
Dicono: “È pur sempre qualcosa, è un inizio”.
Ma è come se un padre di famiglia, di fronte alla necessità di rimettere in sesto il bilancio familiare, proponesse: “Cominciamo col risparmiare 10 centesimi al mese”. Una presa in giro! (E l’hanno messa pure nel testo della domanda referendaria stampata sulle schede…
) Soprattutto tenendo conto che i costi di una cattiva politica saranno ben maggiori.
7) La riduzione dei tempi di approvazione delle leggi è solo di facciata.La riforma abolisce l’obbligo di approvazione delle leggi in due Camere. Ma non è questo che causa i tempi lunghi per l’approvazione di alcune leggi. Nel Parlamento attuale, quando una legge già approvata da un ramo (Camera o Senato) non viene approvata dall’altro, è solo perché ci sono litigi nella maggioranza. Se non ci fosse il doppio voto, i litigi anticiperebbero semplicemente il primo voto.
La riforma, inoltre, consente al Governo di imporre un massimo di 120 giorni per far approvare dal Parlamento le leggi di iniziativa governativa. Ma già adesso il tempo medio per l’approvazione di queste leggi è di 116 giorni!
Aggiungiamo che al Senato non sarà più possibile per il Governo porre il voto di fiducia. Il che, se da un lato presenta il vantaggio di non esporre il Governo al pericolo di far dipendere la propria esistenza da due maggioranze diverse nelle due Camere, dall’altro non facilita certo la velocità di approvazione delle leggi a doppia lettura: in caso di dissidi interni alla maggioranza alcune leggi potrebbero bloccarsi del tutto (inoltre, ciò attribuisce un potere di ricatto paralizzante a gruppi di potere interni alla maggioranza).
8 ) La riforma contiene
disposizioni contorte, contraddittorie, confuse.
Ho già ricordato l’indeterminatezza su un aspetto centrale come la modalità di elezione/designazione dei senatori.
Vengono ridotti in maniera notevole i poteri delle Regioni a statuto ordinario (disegnando una sorta di nuovo centralismo), con la bizzarra finzione di presupporre un potere legislativo originario delle Regioni e fare quindi un lunghissimo elenco delle materie di competenza statale.
Allo stesso tempo non vengono toccati i poteri ben più ampi delle Regioni a statuto speciale.
Vengono cambiate le quote di senatori spettanti a ogni Regione, senza tener conto che per le Regioni a statuto speciale queste quote sono definite dagli statuti, i quali devono essere cambiati con legge costituzionale. Quindi non si potrà andare a votare sino a quando non saranno state effettuate queste revisioni…
L’attuale Costituzione, inoltre, è chiara e lineare: non solo perché lo richiede la razionalità di questo tipo di fonte (la normazione di dettaglio deve essere demandata alle leggi speciali), ma anche i perché i Padri costituenti la vollero accessibile a tutti i cittadini.
Oggi l’articolo 70 consta di nove (9) parole.
Domani diventerebbe un ginepraio inestricabile di 438 parole (!).
Non mi dilungo oltre nei tecnicismi.
Nella riforma ci sono anche novità positive, come la correzione di molti conflitti di competenza tra Stato e Regioni determinati dalla sciagurata riforma del 2001 (un precedente in cui il “cambiamento” fece solo danni...); ma questi aspetti non mutano il giudizio complessivo, che è negativo.
Significa che la Costituzione è perfetta e non va cambiata?
Nulla è perfetto, e cambiamenti si possono fare. Ma devono essere
in meglio, non in peggio.
Un’occasione è stata persa con la riforma del 2006 (bocciata anch’essa dal referendum confermativo), che a mio avviso era una discreta riforma.
Una nuova occasione si potrà trovare solo se le attuali forze politiche (e i poteri che le guidano) si "rassegneranno" al fatto di non poter imporre unilateralmente la propria volontà (e i loro interessi).